L’ESTRO DEL GUSTO. L’ARTE NEI CINQUE SENSI
Giuseppe Maglione, artista della pizza sostenibile
a cura di Marco Eugenio Di Giandomenico.
Apeiron Edizioni, Napoli 2019.
Recensione di Alessandro Coscia
Ci sono libri che parlano più di altri di contemporaneità, senza essere legati alla transitorietà del momento. Questo è il caso di “L’estro del gusto”, che definire “libro” è riduttivo: forse sarebbe meglio parlare di “oggetto letterario ed estetico”, quasi che già nella sua materialità, volesse sfuggire alle rigide e canoniche categorie euristiche dei cosiddetti accademici.
Il volume, curato da Marco Eugenio Di Giandomenico, con una veste grafica estremamente raffinata, sembra proprio giocare a rimpiattino con il lettore: è un saggio, un’opera metanarrativa, un catalogo d’arte, una brochure di una mostra? Protagonista della narrazione/evento è l’opera, o per meglio dire l’arte, dello chef Giuseppe Maglione, artista della pizza sostenibile.
Lo stesso Di Giandomenico, docente all’Accademia di Brera, si definisce “economista e critico della Sostenibilità dell’Arte e della Cultura”. Quello della sostenibilità è uno dei temi cardinali non solo dell’arte contemporanea, ma di ogni progetto culturale e aziendale che voglia guardare al futuro. Ciò che distingue quest’opera nel panorama attuale, però, è una felice e non casuale combinazione di elementi: da un lato, un impianto teorico e filosofico criticamente fondato, dall’altro una prassi concreta, che consente a questa operazione di evitare i rischi sia dell’intellettualismo astratto sia di una superficiale concessione alla moda degli “eventi”.
Troppo spesso la critica d’arte (italiana, soprattutto) soffre del peso della sua immane tradizione accademica e del filologismo. Fare arte oggi è dialogare con la società, è comprendere che in una realtà complessa e dinamica come quella attuale, l’opera d’arte, la mostra, l’evento devono essere tasselli di una politica culturale più ampia che sappia guardare sia alle forme concrete di finanziamento e mantenimento dell’arte stessa, sia a tutte le sue manifestazioni.
Ecco che questo libro trasforma il luogo comune “la cucina è un’arte” in un’efficace operazione di critica e di promozione dell’arte stessa. Punto di partenza è la riflessione – pratica – non cesserò mai di ripeterlo, sul “gusto” e sulla definizione gerarchica dei cinque sensi, che, come scrive il curatore, “contamina” il dibattito sull’arte fin dall’epoca di Hegel, con la presunta supremazia della vista e dell’udito.
Il senso del gusto diventa quindi base per una riflessione su una possibile arte “del gusto e del food”. Ma in realtà questo libro parla di molto altro, e, morbidamente ma senza sconti, entra a piedi uniti nel dibattito attuale su cosa sia l’arte, sul mercato che la sostiene, sull’apparato intellettuale che ne definisce le narrazioni e ne crea le categorie dominanti, sul suo ruolo economico, tracciando una rotta che andrebbe seguita da chi guarda alla creatività senza preconcetti.
Per dirla in altri termini, un seme. Che speriamo dia molti frutti.
Giuseppe Maglione, artista della pizza sostenibile
a cura di Marco Eugenio Di Giandomenico.
Apeiron Edizioni, Napoli 2019.
Recensione di Alessandro Coscia
Ci sono libri che parlano più di altri di contemporaneità, senza essere legati alla transitorietà del momento. Questo è il caso di “L’estro del gusto”, che definire “libro” è riduttivo: forse sarebbe meglio parlare di “oggetto letterario ed estetico”, quasi che già nella sua materialità, volesse sfuggire alle rigide e canoniche categorie euristiche dei cosiddetti accademici.
Il volume, curato da Marco Eugenio Di Giandomenico, con una veste grafica estremamente raffinata, sembra proprio giocare a rimpiattino con il lettore: è un saggio, un’opera metanarrativa, un catalogo d’arte, una brochure di una mostra? Protagonista della narrazione/evento è l’opera, o per meglio dire l’arte, dello chef Giuseppe Maglione, artista della pizza sostenibile.
Lo stesso Di Giandomenico, docente all’Accademia di Brera, si definisce “economista e critico della Sostenibilità dell’Arte e della Cultura”. Quello della sostenibilità è uno dei temi cardinali non solo dell’arte contemporanea, ma di ogni progetto culturale e aziendale che voglia guardare al futuro. Ciò che distingue quest’opera nel panorama attuale, però, è una felice e non casuale combinazione di elementi: da un lato, un impianto teorico e filosofico criticamente fondato, dall’altro una prassi concreta, che consente a questa operazione di evitare i rischi sia dell’intellettualismo astratto sia di una superficiale concessione alla moda degli “eventi”.
Troppo spesso la critica d’arte (italiana, soprattutto) soffre del peso della sua immane tradizione accademica e del filologismo. Fare arte oggi è dialogare con la società, è comprendere che in una realtà complessa e dinamica come quella attuale, l’opera d’arte, la mostra, l’evento devono essere tasselli di una politica culturale più ampia che sappia guardare sia alle forme concrete di finanziamento e mantenimento dell’arte stessa, sia a tutte le sue manifestazioni.
Ecco che questo libro trasforma il luogo comune “la cucina è un’arte” in un’efficace operazione di critica e di promozione dell’arte stessa. Punto di partenza è la riflessione – pratica – non cesserò mai di ripeterlo, sul “gusto” e sulla definizione gerarchica dei cinque sensi, che, come scrive il curatore, “contamina” il dibattito sull’arte fin dall’epoca di Hegel, con la presunta supremazia della vista e dell’udito.
Il senso del gusto diventa quindi base per una riflessione su una possibile arte “del gusto e del food”. Ma in realtà questo libro parla di molto altro, e, morbidamente ma senza sconti, entra a piedi uniti nel dibattito attuale su cosa sia l’arte, sul mercato che la sostiene, sull’apparato intellettuale che ne definisce le narrazioni e ne crea le categorie dominanti, sul suo ruolo economico, tracciando una rotta che andrebbe seguita da chi guarda alla creatività senza preconcetti.
Per dirla in altri termini, un seme. Che speriamo dia molti frutti.
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