NEW LIST "Sospesi tra la Terra e il virus"
di Mario Sechi
Lo shock del 2020 che ha cambiato l'agenda globale. La giornata mondiale dell'ambiente e l'emergenza del coronavirus. Come una pandemia cambia valori, priorità, apre nuovi scenari. La biologia che diventa biopolitica, il mito della decrescita (in)felice di fronte alla prova del lockdown, i bisogni primari che si impongono sulle utopie
L’ambiente e il coronavirus. L’ecologia e la biologia. L’inquinamento e l'epidemia. La vita dell’uomo sulla Terra. La giornata mondiale dell’ambiente si è celebrata nell’era del trionfo di una presenza naturale infinitamente piccola: il coronavirus.
Nonostante il lockdown, il blocco delle attività industriali, dei trasporti, il collasso del mercato dell’automobile, lo stop alle navi da crociera, lo sprofondo del turismo, i consumi elettrici a picco, gli aerei a terra, abbiamo visto come le emissioni di anidride carbonica abbiano toccato il picco massimo, secondo le ultime rilevazioni del Noaa.
Sorpresa, le cose sulla vita del (e nel) pianeta sono più complicate di come appaiono, le grandi narrazioni all'improvviso si rimpiccioliscono.
Le priorità con la crisi del coronavirus oggi sono cambiate: viene prima la lotta a un agente invisibile capace di eliminare le persone più deboli, poi c'è il tema ambientale.
C’è chi ha pensato di saldare le due questioni, le emergenze climatiche e il virus, si tratta di un'operazione di trapezismo storico, perché il collegamento s'è svelato un -ismo pieno di pre-giudizio e perché l’azione politica ha dimostrato che vale il primum vivere e in questo caso gli sforzi si sono concentrati sull’epidemia.
La scala dei valori (e disvalori) è cambiata con il contagio.
Il virus ci ha ricordato che la biologia diventa biopolitica, un elemento chiave a sua volta della geopolitica. Lasciando perdere i complotti, le teorie cospiratorie, le tesi per cui il virus sarebbe stato creato in laboratorio, diamo per buona la storia dell’origine naturale del virus, la sua presenza nel mercato di Wuhan e il suo veicolo animale (dalle carte e ricostruzioni che abbiamo letto, in assenza di un chiarimento definitivo della Cina, questa appare come la più probabile catena di distribuzione primaria dell'infezione) così emerge il tema della sicurezza dei mercati dell’Asia, del consumo alimentare. Siamo in presenza di un rischio globale.
La pandemia e le misure di lockdown adottate dagli Stati hanno cambiato l’agenda politica, i megatrend che alla fine del 2019 si stavano consolidando.
Le manifestazioni del movimento dei giovani per l’ambiente sono passate dall'imperativo categorico a zero, sono sparite perché mancanti della forza visiva della massa.
Nel dibattito pubblico il tema dell’ecologia è sceso a un piano inferiore, oggi viene dopo quello dell’economia. Questo non significa che non sia importante, è fondamentale, la sicurezza biologica è strettamente legata all’azione dell’uomo sul nostro pianeta, ma quando si ragiona sul tempo dell’emergenza, sulla sopravvivenza, sui bisogni primari, sull’approvvigionamento degli alimenti, sulla distribuzione e produzione, sulla riapertura delle attività economiche, sul lavoro, sul reddito, allora emergono fatti ineludibili, situazioni in cui l’uomo è chiamato a scegliere e, improvvisamente, si apre l’abisso tra l’utopia e la realtà.
I teorici della decrescita (in)felice si sono ritrovati di fronte all’ipotesi del blocco dell'economia realizzata dal lockdown, uno stop traumatico delle attività economiche e di colpo è apparso chiaro quanto il mondo che dipingono sia impossibile da realizzare.
Esistono bisogni insopprimibili che devono essere soddisfatti, pulsioni e desideri che non possono essere cancellate, abbiamo visto tutti balenare la luce del caos in questi mesi. E ne avvertiamo l'ondata ora che si cerca di ritornare al new normal dell'era del coronavirus.
La popolazione mondiale secondo le stime delle Nazioni Unite è destinata a crescere dai 7,7 miliardi di oggi a 9,7 miliardi nel 2050, i bisogni alimentari di questa moltitudine in continenti che sono in pieno sviluppo sono titanici e chiedono prima di tutto sicurezza (per evitare il ripetersi di pandemie ancor più letali) e un sistema che inquini meno e soddisfi questa domanda crescente di cibo. Bisogni primari e forze che governano il mondo, la demografia e la produzione alimentare.
Di fronte a questa sfida si propongono spesso modelli che prevedono il "ritorno allo stato di natura", ma siamo nel campo della teoria che non si incontra con la prassi.
La prima ecologia è quella della mente, la storia è lastricata di buoni propositi che spesso si sono trasformati in guerre dei poveri. Chiedere alla Cina di fermare la sua rivoluzione industriale è impossibile, siamo di fronte a un esperimento che riguarda 1,4 miliardi di persone sulla Terra.
Gli Stati Uniti, dipinti come il Grande Inquinatore, hanno investito in tecnologie che hanno abbassato le emissioni di anidride carbonica, ma per farlo c'è bisogno di capitali, di un'economia in salute e di una prospettiva, di un futuro.
Questo vale anche per l'Europa, che ha un sistema di conoscenza molto sviluppato e proprio con la crisi del coronavirus ha rilanciato la ricerca comune del vaccino. Sono tre gli elementi che forgiano i numeri della nostra aspettativa di vita: conoscenza, capitali, libertà.
di Mario Sechi
Lo shock del 2020 che ha cambiato l'agenda globale. La giornata mondiale dell'ambiente e l'emergenza del coronavirus. Come una pandemia cambia valori, priorità, apre nuovi scenari. La biologia che diventa biopolitica, il mito della decrescita (in)felice di fronte alla prova del lockdown, i bisogni primari che si impongono sulle utopie
L’ambiente e il coronavirus. L’ecologia e la biologia. L’inquinamento e l'epidemia. La vita dell’uomo sulla Terra. La giornata mondiale dell’ambiente si è celebrata nell’era del trionfo di una presenza naturale infinitamente piccola: il coronavirus.
Nonostante il lockdown, il blocco delle attività industriali, dei trasporti, il collasso del mercato dell’automobile, lo stop alle navi da crociera, lo sprofondo del turismo, i consumi elettrici a picco, gli aerei a terra, abbiamo visto come le emissioni di anidride carbonica abbiano toccato il picco massimo, secondo le ultime rilevazioni del Noaa.
Sorpresa, le cose sulla vita del (e nel) pianeta sono più complicate di come appaiono, le grandi narrazioni all'improvviso si rimpiccioliscono.
Le priorità con la crisi del coronavirus oggi sono cambiate: viene prima la lotta a un agente invisibile capace di eliminare le persone più deboli, poi c'è il tema ambientale.
C’è chi ha pensato di saldare le due questioni, le emergenze climatiche e il virus, si tratta di un'operazione di trapezismo storico, perché il collegamento s'è svelato un -ismo pieno di pre-giudizio e perché l’azione politica ha dimostrato che vale il primum vivere e in questo caso gli sforzi si sono concentrati sull’epidemia.
La scala dei valori (e disvalori) è cambiata con il contagio.
Il virus ci ha ricordato che la biologia diventa biopolitica, un elemento chiave a sua volta della geopolitica. Lasciando perdere i complotti, le teorie cospiratorie, le tesi per cui il virus sarebbe stato creato in laboratorio, diamo per buona la storia dell’origine naturale del virus, la sua presenza nel mercato di Wuhan e il suo veicolo animale (dalle carte e ricostruzioni che abbiamo letto, in assenza di un chiarimento definitivo della Cina, questa appare come la più probabile catena di distribuzione primaria dell'infezione) così emerge il tema della sicurezza dei mercati dell’Asia, del consumo alimentare. Siamo in presenza di un rischio globale.
La pandemia e le misure di lockdown adottate dagli Stati hanno cambiato l’agenda politica, i megatrend che alla fine del 2019 si stavano consolidando.
Le manifestazioni del movimento dei giovani per l’ambiente sono passate dall'imperativo categorico a zero, sono sparite perché mancanti della forza visiva della massa.
Nel dibattito pubblico il tema dell’ecologia è sceso a un piano inferiore, oggi viene dopo quello dell’economia. Questo non significa che non sia importante, è fondamentale, la sicurezza biologica è strettamente legata all’azione dell’uomo sul nostro pianeta, ma quando si ragiona sul tempo dell’emergenza, sulla sopravvivenza, sui bisogni primari, sull’approvvigionamento degli alimenti, sulla distribuzione e produzione, sulla riapertura delle attività economiche, sul lavoro, sul reddito, allora emergono fatti ineludibili, situazioni in cui l’uomo è chiamato a scegliere e, improvvisamente, si apre l’abisso tra l’utopia e la realtà.
I teorici della decrescita (in)felice si sono ritrovati di fronte all’ipotesi del blocco dell'economia realizzata dal lockdown, uno stop traumatico delle attività economiche e di colpo è apparso chiaro quanto il mondo che dipingono sia impossibile da realizzare.
Esistono bisogni insopprimibili che devono essere soddisfatti, pulsioni e desideri che non possono essere cancellate, abbiamo visto tutti balenare la luce del caos in questi mesi. E ne avvertiamo l'ondata ora che si cerca di ritornare al new normal dell'era del coronavirus.
La popolazione mondiale secondo le stime delle Nazioni Unite è destinata a crescere dai 7,7 miliardi di oggi a 9,7 miliardi nel 2050, i bisogni alimentari di questa moltitudine in continenti che sono in pieno sviluppo sono titanici e chiedono prima di tutto sicurezza (per evitare il ripetersi di pandemie ancor più letali) e un sistema che inquini meno e soddisfi questa domanda crescente di cibo. Bisogni primari e forze che governano il mondo, la demografia e la produzione alimentare.
Di fronte a questa sfida si propongono spesso modelli che prevedono il "ritorno allo stato di natura", ma siamo nel campo della teoria che non si incontra con la prassi.
La prima ecologia è quella della mente, la storia è lastricata di buoni propositi che spesso si sono trasformati in guerre dei poveri. Chiedere alla Cina di fermare la sua rivoluzione industriale è impossibile, siamo di fronte a un esperimento che riguarda 1,4 miliardi di persone sulla Terra.
Gli Stati Uniti, dipinti come il Grande Inquinatore, hanno investito in tecnologie che hanno abbassato le emissioni di anidride carbonica, ma per farlo c'è bisogno di capitali, di un'economia in salute e di una prospettiva, di un futuro.
Questo vale anche per l'Europa, che ha un sistema di conoscenza molto sviluppato e proprio con la crisi del coronavirus ha rilanciato la ricerca comune del vaccino. Sono tre gli elementi che forgiano i numeri della nostra aspettativa di vita: conoscenza, capitali, libertà.